Quando
              il 27 novembre del 1469 i notai delle rispettive casate
              costituivano l’atto dotale dei beni della magnifica domicella
              domina Vittoria della famiglia aquilana dei Camponeschi, in
              occasione delle sue nozze con Giovanni Antonio Carafa, non
              mancarono di elencare minuziosamente, tra gli altri ricchissimi
              capi del corredo, un “incappaturum unum aracamatum ad usum
              Abhrutinorum, aliam magnam tobaleam ascolanam, item tobaleas
              quatuordecim pro facie ad acum laboratas, item aliam tobaleam
              bombicis ad operam spertosam”.
              Non
              facevano difetto, naturalmente, gioielli e preziosi ornamenti
              quali “manichectis setani viridis cul sexaginta zollectis
              argenti, unum anusdeum auri fulcitum, unum paternoster cum
              triginta novem signaculis auri, filare unum corallorum cum
              chinaculis”, o “cassiam unam cum speculis”.
              Erano
              tempi, quelli, in cui dalle botteghe artigianali la nobile ed
              aristocratica committenza otteneva oggetti di raffinata
              esecuzione, già allora frutto di una consolidata cultura
              materiale. L’accappaturo ricamato all’uso abruzzese si
              contrappone alla tovaglia, forse tessuta ed insertata all’ascolana,
              ovvero con il pizzo di Offida, o con l’altra intagliata “ad
              operam spertosam”, definendo il retroterra storico di lavori ad
              ago e fusello ancora presenti nei saperi artigianali di oggi,
              così come gli agnusdei, i partenostri e le cannacche,
              intramezzate ai coralli, solo in parte decaduti dall’uso comune,
              rimandano alla tradizione orafa scannese e pescolana.
              Né la
              vicenda della pia Vittoria, futura madre del pontefice Paolo IV,
              resta unica. Altrettanto interessante è l’inventario delle robe
              confiscate in casa dei Conti Cantelmo il tre aprile 1494, in
              seguito all’adesione di Restaino alla congiura dei baroni.
              
Accanto a
              masserizie, vesti e gioielli di fattura catalana, soprattutto
              nelle stanze della Contessa giovane, quella Diana Camponeschi,
              peraltro sorella di Vittoria, troviamo un magnifico “capizzo de
              panno aquilano, un accappaturo da donna da portare in testa de
              villuto morato tutto siminato d’oro et perle, dove è uno breve
              che dice tempus in cunctis e dove sono poste cento trentasei
              perle, et in una cascia mensali ovvero mantili da tavola et
              lenczolta tutte arracamate”.
              E sempre
              un accappaturo di panno abruzzese copre Rita Cantelmo, orante
              sulle tombe dei figli nel bel monumento funebre nella chiesa della
              Badia morronese.
              Archivi
              cancellereschi e curiali, contratti di opere religiose e di
              confraternite, fondi notarili, lasciti, testamenti atti di
              vendita, opere letterarie tracciano, nei secoli che vanno dal
              quindicesimo al diciannovesimo, un quadro quanto mai vivo per la
              definizione di una storia dell'artigianato artistico abruzzese, di
              cui, del resto, sono giunti fino a noi manufatti di rara bellezza.
              Poiché se
              i celebrati corredi castellani della Pax romana Orsini-Colonna o
              la cancellata eseguita da Sante Di Rocco a Pescocostanzo, o,
              infine, per arrivare quasi ai nostri giorni, i grandi pannelli
              realizzati dai Cascella per le Terme di Montecatini o la Stazione
              di Milano, travalicano i confini del manufatto per assurgere alle
              vette individuali dell’opera d’arte, tuttavia è indubbio che
              ad esse va ricondotta l’origine dell’artigianato tradizionale
              e alla loro influenza va ascritto il consolidamento di specifiche
              espressioni materiali sul territorio.
              Senza la
              memoria collettiva dei grandi artigiani-artisti che, fondando
              attraverso i secoli, intorno a loro, botteghe e scuole di
              apprendistato, hanno gettato sul territorio le basi di tematiche,
              tecniche e modalità esecutive, oggi non avremmo i filoni che
              costituiscono l’anima culturale di questa attività, per molti
              versi ancora individuale e sostengono una economia che trova le
              sue ragioni nell’alto livello della tipicità.
              Oggi l’artigianato
              di qualità, per avere un suo ruolo di mercato e progettare un
              futuro entro il solco della tradizione, oltre che sulla commitenza,
              deve poter contare anche sull’attenzione politica e
              amministrativa del legislatore. Questo lo hanno capito e messo in
              pratica sia gli operatori del settore che il Governo regionale,
              mettendo a confronto le rispettive posizioni con una serie di
              strategie di principio ed operative.