
Martedi' 20 aprile 1999
Le Alpi nuovo zoo
d'Europa
Secondo il Wwf il versante italiano della
catena montuosa e' piu' salubre.
Vinto il rischio estinzione
Aumento record di stambecchi e cervi
ROMA _ Le Alpi si ripopolano dei loro
abitanti naturali. Camosci, stambecchi, cervi e caprioli hanno scelto di "rimetter su
casa" sul versante italiano della catena montuosa piu' vasta d'Europa grazie alle
condizioni abitative diventate piu' "salubri". Nel territorio alpino italiano,
secondo gli ultimi censimenti, vivono 140.000 caprioli, 74.000 camosci, 15.000 cervi e
8000 stambecchi. Questi dati sono contenuti in un articolo della rivista
"Attenzione" del Wwf. "Si tratta di un progresso sensazionale - osserva
Francesco Petretti, del servizio conservazione della natura del Wwf - se si pensa che solo
cinquant'anni fa il cervo era quasi sconosciuto nelle nostre montagne". Ancora piu'
sorprendente e' la storia dello stambecco, animale simbolo delle Alpi: stava per
estinguersi alla fine del secolo scorso e oggi conta piu' di 8000 capi in tutto l'arco
alpino, il 75 per cento localizzato in Piemonte e Valle d'Aosta, soprattutto nel Parco
nazionale del Gran Paradiso (5000 esemplari). Come racconta Petretti, lo stambecco era
"in cattiva salute" anche a fine anni Cinquanta, quando non ne esistevano piu'
di 200 esemplari, quasi tutti nel parco del Gran Paradiso. "Le attivita' di
reintroduzione messe in atto soprattutto a partire dalla fine degli anni Settanta - dice
Petretti - hanno fatto sì che la specie sia oggi lontana dal pericolo di estinzione in
cui si trovava alla fine della Seconda guerra mondiale".
Oggi, grazie a migrazioni spontanee e reintroduzioni, lo stambecco si estende in tutte le
Alpi, anche se a macchia di leopardo, da quelle Marittime fino alle Giulie. Tutti i capi
sono discendenti del nucleo originario del Gran Paradiso. Un'altra popolazione consistente
oltre quella del Piemonte-Valle d'Aosta si trova in Lombardia, dove sono stati censiti
mille esemplari, quasi tutti "abitanti" nel parco dello Stelvio e per lo piu'
emigrati dal cantone svizzero dei Grigioni.
Il capriolo e' l'ungulato piu' diffuso. Oltre a espandersi geograficamente verso Ovest,
oggi si spinge anche verso quote piu' basse. Alcuni esemplari arrivano alle porte di
Torino e Milano. Piu' stabile la popolazione di camosci, cresciuta del 10 per cento
nell'ultimo decennio. Michele Ottino, direttore del Parco del Gran Paradiso, attribuisce a
due fattori l'aumento di ungulati sulle Alpi: maggiori restrizioni alla caccia e
spopolamento delle montagne. "La legislazione venatoria e' cambiata e c'e' una
gestione piu' accorta della fauna - spiega Ottino -. Inoltre, nelle zone alpine la
presenza umana diminuisce: la minore pressione antropica lascia spazio agli animali
selvatici". Secondo i dati dell'Ente parco, il numero medio di capi nell'area
protetta e' comunque rimasto costante negli ultimi tempi, anche se ci sono variazioni
annuali legate alle condizioni atmosferiche. "E' normale - afferma Petretti -. Nelle
zone protette si e' raggiunta la densita' massima tollerata. Le aree di espansione sono i
nuovi parchi, dove gli animali cominciano la colonizzazione".
La legge vieta in tutta Italia la caccia allo stambecco, mentre l'uccisione di camosci,
caprioli e cervi e' di solito legata a piani di abbattimento diversi da provincia a
provincia. Nei parchi il divieto e' totale. "Questo ha favorito il ripopolamento in
periodi in cui c'era il rischio di estinzione - dice ancora Ottino -. Ma al di la' di una
generica protezione, noi non interveniamo. Una volta, durante gli inverni piu' rigidi,
veniva portato del foraggio agli animali. Poi abbiamo notato che si ammalavano: erano
colpiti da emorragie perché il fieno modificava la loro flora intestinale".
Lo studio del Wwf non si limita agli ungulati, ma prende in considerazione tutta la fauna
alpina. Oltre ai grossi erbivori, godono di buona salute i carnivori orso, lupo e lince.
E' critica, invece, la situazione di tetraonidi (gallo forcello e cedrone, pernice bianca,
francolino di monte), coturnici e lepri variabili. "Sono specie sensibili alle
condizioni ambientali, al contrario degli ungulati che sanno adattarsi bene - conclude
Petretti -. La riduzione dei nevai danneggia la pernice bianca, mentre il gallo cedrone
patisce la presenza dell'uomo nei boschi. Occorre intervenire". [s. man.]
Aprile
1999 |