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Lunedi' 26 Luglio

 

Venezia, spot con il leone vero ma gli animalisti insorgono 

Telepiu' chiede di girare un filmato pubblicitario a San Marco


VENEZIA (r.b.) - Il leone, assicurano, e' ammaestrato, e docile come un agnellino. La belva (vera) passeggera' per Piazza San Marco all'alba, quando non c'e' nessuno, un giretto sotto i portici e uno sul molo, fino alla colonna dove dorme il suo collega di pietra, quello col libro e con le ali. Lo fara', nella citta' che ha proprio un leone per emblema, per uno spot pubblicitario delle trasmissioni di Telepiu' dedicate alla mostra del cinema, dove i premi sono, per l'appunto, leoni, leoni d'oro. Ma un leone (vero) che cammina, nella citta' dove i leoni (finti) volano, e se si inquietano sguainano la spada, non poteva non dare scandalo. Difatti, non appena la richiesta della pay-tv di girare lo spot col leone (vero) e' arrivata sui tavoli del Comune, della Prefettura, della Questura, della Sovrintendenza e dell'Ulss, sono insorte le associazioni animaliste della citta', che gia' avevano combattuto contro i circhi con gli animali.
Gli animalisti hanno chiesto di negare l'autorizzazione a Telepiu', perche' lo spot sarebbe "uno spettacolo diseducativo che perpetua l'immagine dell'animale al servizio dell'uomo, fuori dal suo ambiente naturale". Era gia' successo alcuni anni fa, quando le autorita' vietarono, a Carnevale, l'arrivo di un camion di tori spagnoli (veri) per la resurrezione dell'antichissima "caccia ai tori", e la Biennale fu subissata di denunce per l'esibizione di Pingo, un poderoso toro (vero) che montava, due volte al giorno, una mucca meccanica. Un rapporto tormentato, quello della Serenissima, con gli animali.

ssa i suoi desideri. Anzi, sembra stia gia' tentando di farlo.
Ma, quello che e' piu' straordinario, la signorina scimpanze' pensa, elaborando concetti semplici e astratti. Ha imparato a usare con disinvoltura un vocabolario di tremila parole. Per ora si serve di computer e tastiera: su ogni tasto c'e' un simbolo che rappresenta un oggetto come "mela", o qualcosa di piu' astratto come "buono", "cattivo", "dammi questo". In tutto quattrocento. La macchina traduce le volonta' della scimpanze' in linguaggio sintetico e il gioco e' fatto.
Accade ad Atlanta, Georgia State University's language research. Gli antenati di Panbanisha si chiamano Washoe, Viki, Lynn, Koko. Washoe fu la prima allieva del linguaggio dei segni nel 1966: si esprimeva a gesti, come i sordomuti. Viki tento' di parlare con risultati deludenti. Lynn a meta' degli anni Ottanta deteneva un primato: la frase piu' lunga, con sedici segni consecutivi: "Give orange me, give eat orange me, eat orange give me, eat orange give me you". Non erano che una serie di varianti per esprimere lo stesso concetto: dammi un'arancia. Koko agli inizi degli anni Novanta scriveva frasi che apparivano sullo schermo del computer.
Panbanisha ha fatto di piu' raggiungendo, a detta degli scienziati che la seguono, uno sviluppo paragonabile a quello di un bambino di quattro anni. Ma c'e' di piu': come ogni figlia del duemila, la ragazza aiuta sua madre Matata, un po' impedita nell'uso della tecnologia, e le fa da intermediaria esprimendo ogni sua necessita'. Poi insegna a parlare al suo figlioletto di un anno, Nyota. E come ogni femmina in carriera guarda con un po' di sufficienza al suo attuale compagno di strada, un orang- utan dello zoo di Atlanta, il ventenne Chantek. Lui conosce soltanto duemila parole

Luglio 1999