Difendono scimmie elefanti
e delfini e spesso vincono cause milionarie
MILANO - In piedi, entra la corte. Quindi viene letta la
causa che si va a discutere: il delfino Rainbow (in inglese Arcobaleno), contro
l'acquario che lo ospita. Proprio così. Capita da qualche tempo nei tribunali
americani di assistere a cause intentate da animali, o meglio da
avvocati-animalisti a nome dei loro «assistiti». Legali agguerriti, al
servizio di privati o associazioni, che stanno creando precedenti in grado di
cambiare il sistema legale statunitense in materia di tutela degli animali.
L'obiettivo dei sempre piu' numerosi avvocati che concentrano la propria
attivita' professionale nella «difesa» di scimmie, elefanti, pesci o volatili,
e' ambizioso. Non tanto, o non solo, combattere gli episodi di crudelta' e
maltrattamenti nei confronti degli animali ma, soprattutto, sovvertire il
principio secondo cui un animale e' da intendersi esclusivamemte come proprieta'
di qualche essere umano o istituzione, facendone invece veri e propri soggetti
di diritto. Insomma, la notizia, riportata dall'Herald Tribune in prima
pagina, non e' una di quelle da archiviare fra le «curiosita' d'oltreoceano».
Fare l'avvocato degli animali e' un modo di esercitare la professione redditizio
e qualificato. E adesso universita' importanti, scuole di diritto del calibro di
Harvard e Georgetown annunciano per il prossimo anno accademico corsi di «animal
law», letteralmente giurisprudenza animale. Una importante legittimazione per
questa «nuova branca del diritto», come l'ha definita Joyce Tischler,
direttore dell'organizzazione legale in difesa degli animali. Il cui spirito e'
ben illustrato da Steven Wise, il legale del delfino Rainbow al quale Harvard ha
affidato le lezioni: «La nostra - dichiarava al Tribune - e' una
strategia a lungo termine, volta a dimostrare che un animale non e' "una
cosa da usare" per gli uomini». Ma un «sentient being», e cioe' un
essere sensibile.
Forti di questo convincimento, i
legali-animalisti vincono cause milionarie, si battono a tutela degli elefanti
usati dai circhi, garantiscono agli scimpanze' degli zoo condizioni di vita
soddisfacenti, lottano contro l'abbattimento dei cani che hanno morso qualcuno.
I detrattori ci scherzano sopra: «Ma allora anche i batteri hanno diritti?»,
si chiedeva il professor Richard Epstein da Chicago. Beh, pare di sì. E di
sicuro ne hanno gli uccelli, se e' vero che la Corte suprema della Pennsylvania
ha accettato il ricorso presentato da alcuni avvocati contro l'annuale gara di
tiro al piccione di Hegins. Un altro esempio della nuova considerazione di cui
godono gli animali nelle aule di giustizia americane arriva dal Massachusetts,
dove il solito Wise (in inglese il suo cognome significa «saggio») ha fatto
risarcire i padroni di 7 pecore uccise dai cani dei vicini di casa, non solo per
il valore di mercato ma anche per i danni che derivavano dall'aver perso la
compagnia.
E in Italia? Siamo lontani da una «sensibilita'»
del genere. Spiega Fulco Pratesi, presidente del Wwf: «Una norma a tutela degli
animali esiste; e' l'articolo 727 del Codice penale che prevede il reato di
maltrattamento. Ma nel complesso si fa poco anche se nuove leggi, magari contro
gli eccessi della caccia potrebbero servire».
«Tra l'altro - sottolinea l'ufficio
legale del Wwf - prima che la Corte di Cassazione intervenisse a stabilire che
gli animali sono esseri viventi capaci di provare dolore, lo spirito della norma
in Italia era teso principalmente a tutelare gli uomini, che potrebbero provare
repulsione o pieta' alla vista dell'animale maltrattato». Mentre a detta del
presidente di Legambiente, Ermete Realacci: «Sarebbe un successo se in tutti i
comuni d'Italia venissero applicate le norme esistenti a tutela degli animali.
Non sempre succede, ci sono citta' che non hanno un'anagrafe canina, anche se la
legge le prevede».
Mario Porqueddu