Domenica 22 Agosto 1999
SOLITUDINE
E SOLIDARIETA'
La storia di Amelia
Costretta a letto per un fibroma,
non voleva lasciare i due cuccioli per le strade
L’aiuto decisivo. Dopo
il trasporto in ospedale,
la donna e' accudita dagli «amici» militari
GIANFRANCESCO RAIANO
Se si e' soli, in una grande citta' si e' soli due volte. Se si cerca un
aiuto, in una grande citta' occorre gridare piu' forte. E a volte a tendere
la mano sono quelli che istituzionalmente avrebbero tutt’altro compito.
Come nella storia di Amelia, che di solitudine e depressione si stava
lasciando morire, stanca di chiedere invano che qualcuno l’aiutasse e
intenzionata a rifiutare il necessario ricovero in ospedale per non
abbandonare i suoi due cani.
Dal 2 agosto Amelia Tricarichi si era chiusa in casa, dopo un litigio con il
suo unico figlio, insieme a Johnatan e Simba, i suoi amici a quattro zampe,
e non ne era piu' uscita. Stava male, da alcuni mesi gli era stato
diagnosticato un fibroma uterino, ma di andare in ospedale non ne voleva
proprio sapere. Per farlo avrebbe dovuto abbandonare i suoi amati cuccioli e
affrontare da sola un’esperienza dolorosa. Avrebbe potuto chiamare il
figlio, che nel frattempo era partito con la fidanzata per trascorrere le
vacanze a Rimini, ma era terrorizzata dall’idea di ricevere un rifiuto.
Piu' del male fisico, l’opprimeva il dolore dell’anima, l’indifferenza
della gente.
Fino a quando non ha trovato la forza di fare un’ultima telefonata
d’aiuto, scoprendo finalmente qualcuno a cui aggrapparsi. Qualcuno che la
sapesse consigliare, che sapesse a chi chiedere aiuto. Una voce amica che ha
informato i carabinieri dello stato di Amelia, della sua grave prostrazione
fisica e psichica. Alla porta della donna sono giunti in sei: due militari e
quattro infermieri. Davanti a loro il triste spettacolo di una donna a
malapena vestita, che non mangiava da giorni. Aveva difficolta' a camminare,
il corpo stremato da dolori lancinanti. Ma non era facile convincere Amelia
a farsi ricoverare: non voleva abbandonare i suoi cani. Non l’aveva
convinta neanche l’arrivo di un volontario della protezione animali che si
era offerto di portarli con se'.
Quei due animali erano per lei l’unico rapporto affettivo saldo su cui
contare: ragazza madre in gioventu', aveva vissuto da sola con il proprio
figlio per vent’anni e, quando questi aveva intrapreso la carriera
militare, aveva trasferito sui due cuccioli tutto il suo affetto. Non li
avrebbe mai abbandonati nelle mani di qualcuno che non li avesse trattati
con cura. Nulla sembrava smuoverla dalla decisione, nemmeno le parole degli
infermieri che cercavano di convincerla della necessita' di un ricovero,
viste le sue gravi condizioni.
Piangeva Amelia, piegata da dolore, mentre uno dei carabinieri chiamava il
comando di compagnia e informava i superiori del caso: dalla caserma
Pastrengo partivano una serie di telefonate alla ricerca di una soluzione.
Veniva contattato anche l’ufficio dell’assessore alle politiche sociali
Incostante, ma il funzionario di servizio ripondeva che il problema dei cani
non era un compito di cui potevano occuparsi delle strutture pubbliche (il
Comune non possiede un proprio canile), e che avrebbero potuto al massimo
informare le associazioni di volontariato. Quando sembrava che la situazione
si fosse definitivamente bloccata, arrivava dal comando un ordine: gli
animali venivano presi in custodia presso la caserma e Amelia, finalmente
tranquilla, poteva essere ricoverata presso l’ospedale Pellegrini.
Da allora intorno a lei e' scattata una insolita catena della solidarieta':
sola e senza nessuno che possa accudirla, viene visitata durante l’ora
riservata ai familiari dei degenti a turno da un carabiniere che si informa
sul suo stato di salute e che consulta i medici sul decorso ospedaliero. Nel
frattempo Simba e Johnatan sono ospiti della caserma Pastrengo e, visto che
anch’essi non godevano di ottima salute, sono oggetto delle cure dei
militari: in particolare Johnatan, che soffre di una grave forma di
bronchite, e' stato ieri affidato alle cure di un veterinario dopo che gli
stessi carabinieri si erano adoperati per acquistare, e somministrargli, i
medicinali di cui ha bisogno.
Una storia di grande umanita' a cui l’apparente lieto fine non cancella,
pero', un sapore amaro. Nessuno, infatti, puo' offrire ad Amelia cio' di cui
avrebbe maggiormente bisogno: quell’amore di cui si sente privata. E di
Amelia ne esistono, forse, decine sparse nella metropoli, in attesa che
qualcuno gli presti ascolto, che sappia aiutarle davvero, che ritrovi l’umanita'
dimenticata dalla metropoli.
Agosto
1999


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