Uno
spunto di riflessione viene dalle pagine di Anne Macdonnel,
sensibile antropologa inglese che visitò l’Abruzzo
nel 1908. "Scanno è un paese di donne che hanno ampiamente meritato la fama di
essere belle. (...) La loro riservatezza ha qualcosa di misterioso che si addice
all’abbigliamento scuro e a quelle strade buie e strette. Ella è una montanara
orgogliosa, indipendente ed autosufficiente, una grande conservatrice della vita
tradizionale. Si potrà non apprezzare tutte le abitudini del suo paese, ma lei con molta
calma, per porre fine all’argomento, ti risponderà: così si fa a Scanno. (...) La
sua principale caratteristica sta nel portamento lungo le strade di montagna, quando
trasporta sul capo le fascine, o lungo le vie acciottolate con le conche d’acqua
sulla testa, essa cammina erette con le mani sui fianchi o nascoste sotto il grembiule,
con i piedi rivolti verso l’interno, in modo sciolto e spedito e con un movimento
ondeggiante. (...) La forza che ha è impressionante. Qui è la donna che cucina, che
tesse, che sferruzza, che colora le stoffe e fa tutto questo come una cosa naturale. In
estate raccoglie la legna da ardere per il lungo inverno, lavora nei campi, custodisce le
greggi e, se occorre, diventa muratore. (...) L’autosufficienza di cui Scanno gode si
deve quasi interamente alle svariate capacità delle donne che nelle case cardano,
colorano, filano tessono la lana per farne abiti coperte, tappeti, copriletti, calze
nastri. A questo punto qualcuno potrebbe pensare che la loro è una vita da schiave, ma le
donne di Scanno possono sembrare tutto meno che schiave.
Hanno
piuttosto un’aria regale e non ho mai visto tante regine tutte insieme, come in
questo posto. Esse sono i pilastri del paese e sono pienamente consapevoli del loro valore
e della loro importanza nella famiglia. Nei rapporti con l’altro sesso sono molto
riservate. Nei giorni di festa è possibile vederle in gruppi di dieci o venti (veri e
propri clubs) sulle scale di pietra, mentre si raccontano storie. Nei momenti di svago non
cercano facili amoreggiamenti con gli uomini e anche quando i carabinieri, con le loro
uniformi sgargianti, lanciano alle donne, dai balconi che si trovano di fronte alla
fontana, sguardi amorosi, queste rispondono con occhiate sdegnose di sotto alle conche di
rame. Quanto ai viaggi che intrapprendono queste forti donne, si può dire che siano
limitati a quelli fatti per raggiungere la montagna e i boschi, cosicché l’unica
occasione di svago è offerta dalle funzioni religiose. I vespri, nella chiesa
parrocchiale o in quella di San Rocco sono uno spettacolo singolare. Le figure
accovacciate a terra formano un tappeto che ricopre tutto il pavimento. Infatti le donne
di Scanno non usano mai la sedia se non quando pranzano. Quando si riposano la loro
posizione preferita, che è comune a tutte quando sono in chiesa, è quella di
accovacciarsi sul pavimento con le gambe incrociate".
L’attenta
osservazione di Anne Macdonnel mette in evidenza una società strutturata su
un’evidente sistema matriarcale che esprime il prestigio dell’appartenenza di
genere con una serie di comportamenti pratici e rituali che attraversano l’ambito
morale, economico ed estetico.
Le
ragioni di tale impostazione vanno ricercate nell’archetipo culturale della civiltà
pastorale, impostata sulla pratica del nomadismo o, per lo meno della semistanzialità,
comune tra gli uomini in età lavorativa.
Il
pastore transumante esprime la propria identità nella dimensione del viaggio e nella
capacità di rapportare la vita quotidiana nello spazio, grande soprattutto
spiritualmente, della propria solitudine sociale. Dalla vicenda esistenziale
dell’uomo, sia esso padre, fratello, marito o figlio, una vicenda storica che,
peraltro, per quanto trasmetta segnali di solidità economica, appare generalmente
sottotono e passiva, ha origine la condizione simbolica della donna scannese che
rappresenta l’unico punto fermo di una scansione temporale, perennemente sospesa tra
i due punti estremi della partenza e del ritorno e fluttuante in un universo avventuroso.
La
donna è la certezza dell’origine, la consolazione della memoria, il desiderio del
futuro, l’ancora del destino, la realizzazione della propria ricchezza. Da questo
punto di vista anche la casa, che poi a Scanno ha la chiara solidità della pietra, è
subordinata, in quanto status-simbol, alla presenza femminile.
All’interno
del gruppo, la rappresentazione della stabilità e del prestigio familiare è affidata
alla donna che, in conseguenza di questa consapevolezza, sviluppa una forte identità di
genere e un tangibile spirito di genere espresso mediante pratiche di tipo associativo.
Una donna, come nota la Macdonell, non incline ai viaggi e ai mutamenti formali, ma anzi
impegnata, al di sopra di ogni dialettica, alla conservazione della tradizione, intesa
come garanzia e regola di vita.
In
questo contesto l’abito femminile diviene costume con funzioni tecniche, giuridiche,
economiche, sociali, rituali, magiche e segniche. Ma soprattutto diviene mimesi di uno
status fondativo. Tenendo presente questo punto di vista si comprende il valore della
solennità dell’insieme, dell’uso dei gioielli, delle monete d’oro appese
tra le trecce, dei bottoni d’argento, dei ricami, degli ormamenti non del tutto
assenti nemmeno nell’abito quotidiano, la preziosità del copricapo.
A
Scanno, il vestito femminile è, non solo un segno di identità come in tutte le società
tradizionali, ma fondamentalmente un segno di potere che travalica il dato puramente
materiale e assume valori ancora più profondi.
Una
nota ricorrente, nelle descrizioni degli usi e delle consuetudini del paese, è quella che
sottolinea l’abilità femminile nelle opere di filatura, tintura e produzione dei
pannilana. La perfezione del tessuto e la precisione del taglio dell’indumento
diviene, quindi, anche il segno della capacita di ogni donna a cui la tradizione impone di
provvedere personalmente alla realizzazione degli abiti suoi e della famiglia.
"La
dote dicesi a sette o a dieci e allora il corredo delle vesti deve completare quel numero,
ma tutte di diverso colore e sono durevolissime per la vita intera e tutte lavorate con le
loro mani" scrive il Torcia e aggiunge che l’esempio a cui ogni scannese tende
è quello di Colomba Mancinelli,che ebbe l’alto onore di essere ricevuta dal re,
abile maestra nel fabbricare panno carapellese di color naturale fulvo.
Forse,
e il dubitativo è d’obbligo, in quanto un’affermazione in questo senso sarebbe
possibile solo dopo la conclusione di un programma di ricerca e di indagini comparative
ancora da compiere, la ragione per la quale solo a Scanno, a differenza di altri centri
pure appartenenti ugualmente alla cultura pastorale, il costume muliebre si è tramandato
nella sua singolare foggia fino ai nostri giorni, va ricercata non nella presunta
esoticità delle origini, del resto ormai ampiamente sconfessata, ma nella specifica
competenza delle donne che nell’arte della lavorazione e tintura dei pannilana furono
vere professioniste, a livello culturale ed economico.
Per
queste categorie storiche ed antropologiche, a Scanno, il costume tradizionale femminile
ha resistito, nei secoli, all’incalzare delle mode e oggi rappresenta la dimensione
segnica di una struttura sociale che ha affidato al matriarcato il compito di esercitare
il potere del gruppo ed esibire il prestigio del censo.