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Estate 1999

Sull’argomento si consiglia la seguente bibliografia essenziale:

Giorgio Morelli, Il costume delle donne di Scanno, in "Lares", XXVII, Firenze 1961, fasc. 1-2, pp. 1-14

AA. VV., L’abbigliamento popolare italiano, numero monografico de "La ricerca folclorica", XIV, Brescia 1986

Enzo Accardo - Franco Cercone, Costumi popolari d’Abruzzo, L’Aquila,1992

Giuseppe Sebesta, Il costume di Scanno, Roma1993

Marco Notarmuzi, Eustacchio e Tecanera, ovvero le tradizioni popolari di Scanno, Teramo 1993

Giorgio Morelli, Pagine scannesi, Roma 1996

D'Abruzzo

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Come una regina
A Scanno il costume tradizionale femminile è segno e mimesi di una condizione storica in cui il potere e il prestigio delle donne hanno rappresentato il fondamento della vita sociale

Testo di Maria Concetta Nicolai Foto di Cesidio Silla

scanno2.jpg (5915 byte)Era ntra lume e lustre a zu giardeini,
Cumparaiva la stella nauriente;
La zieta cu zu lacci maranceini
Ci rifecì le trecce risplendente,
Ci lavette za faccia a zu cateine
E ci faicì chinda d’ariente,
Ci mettette la gonna ncu zi viulitti
Ci facietti nu biezzi cappillitti.

Con questa ottava (precisamente la quarta del Matrimonio all’uso di Scanno) Romualdo Parente introduce, in uno scenario carico di ridente e magica emozione, la figura di Mariella, intenta ad abbigliarsi, sul far dell’alba, nel giorno delle nozze.

Il poemetto edito nel 1764 costituisce oltre che un unicum letterario, anche una preziosa testimonianza di cultura materiale e antropologica. Per gli studiosi del costume femminile scannese, in particolare, rappresenta il termine a quo, i lacci, che attualmente caratterizzano con tanta grazia l’acconciatura delle trecce, fanno la loro apparizione.

Da alcune carte dotali del XVI secolo, in cui sono descritti, con dovizia di particolari, capi di vestiario e ornamenti, si evince che, in origine, il modo di vestire delle scannesi, rispetto a quello in uso nei paesi vicini, differiva solo per una accentuata sontuosità dell’insieme, per la presenza dei gioielli e, infine, ma in maniera appena accennata, per il modo di coprirsi il capo con un fazzoletto scarlatto legato sulla nuca.

Questa acconciatura, in seguito detta cappellitto, come, nel 1792, chiarisce Michele Torcia nel suo "Saggio itinerario nazionale del Paese dei Peligni" è formata "da un fasciatoio di saia blò (...) tessuto con vari fini ed intrecciati ricami di seta a rose strocche (...), da un violitto, cioè veletto sottile di bambagia, intrecciato con fili di seta di vario colore, e questo ripiegato indietro e pendente a due code (...)".

Sotto il cappellitto le trecce erano raccolte, secondo una diffusissima foggia dell’epoca, entro la rezzola, una reticella non di rado ornata di monete d’oro. L’origine dei nastri di seta o di lana intrecciati ai capelli, va ricercata all’interno di una moda barocca e spagnoleggiante, diffusasi in tutto il Centro meridione dal Settecento in poi, e tendente ad enfatizzare l’ornamento e il dettaglio.

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