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KOSOVO / Dio ti benedica!
"Zoti të bekoftë!"
La speranza nel campo di Kukes
di Don Gianfranco Travaglini

Quel giorno la fila dei profughi che scendeva dal confine era interminabile, da quello che raccontavano sembrava che i loro villaggi fossero quelli che avevano subito più violenza.
Dopo la lunga marcia e l’ultimo scampato pericolo della frontiera ecco che i volontari della Caritas si trovavano pronti a dare il primo soccorso e ad aiutare i più martoriati e stremati dal lungo cammino. Verso l’imbrunire vediamo arrivare un folto gruppo di persone arrivare, diretti ansimando verso il campo. Nei loro occhi non si vede la solita diffidenza verso gli altri che pensano "chi sa se questi cristiani mi aiuteranno", ma la consolazione di chi ha ritrovato qualcuno di casa. Notiamo subito le corone del rosario che portano al collo: è la prima volta che ci capita di incontrare tra i profughi dei cattolici. Ci dicono che vengono da un villaggio vicino Giacova e sono poverissimi, non hanno i trattori come gli altri e hanno fatto tutto il percorso a piedi. Con tanta discrezione chiedono: "In nome di Gesù aiutateci!".
Certo sentire il nome di Cristo in quei giorni era proprio una cosa rara, vedere appesi al collo i rosari e le medagliette della Madonna ci sembrava veramente strano. Alla loro richiesta ci siamo guardati in faccia e ci siamo sentiti gelare perché i magazzini a quell’ora erano quasi vuoti e i fratelli musulmani che erano passati quel giorno erano stati tanti. In quel momento ci siamo resi conto che i pochi cattolici che erano capitati non li potevamo aiutare, ma quando si fa carità non si può chiedere il distintivo. Che cosa fare? Erano circa trecento persone, li abbiamo fatti sedere sul prato all’interno del recinto e abbiamo riscaldato qualche chilo di fagioli rimasti nel magazzino. Stanchi e assonnati si sono stretti l’uno all’altro sotto le stelle per riscaldarsi e prendere sonno. La mattina successiva alle prime luci dell’alba abbiamo pensato di preparare il poco latte almeno per i bambini. Con il pentolone andiamo al centro del gruppo ancora appisolato e a qualche metro di distanza intravediamo un gruppetto di persone che recitava il rosario con fede e devozione mai vista. Finita la distribuzione con la suora si stava rientrando quando una bambina viene di corsa e abbraccia quella suora e dice: "Quando vi vedo mi sento un po’ in Kosovo".
Le esperienze e gli episodi vissuti nei 24 giorni passati a Kukes nel campo Caritas sono numerosi e si fa fatica a metterli su carta perché sono cose che si scolpiscono nella memoria come pietre miliari nel cammino dell’esistenza. La Caritas in questo contesto ha cercato di dare uno stile particolare, non ha voluto presentare un freddo efficientismo perché per questo ha fatto posto agli altri, non è voluta neanche essere assistenzialista perché il pane anche in quei giorni non era tutto, ma ha voluto dire a quei fratelli che l'amore di Dio non ti abbandona mai anche quando l’odio tra i popoli sembra offuscarlo. Un sorriso, una carezza rompevano per qualche istante gli effetti della brutalità subita, facendo sì che la mente tornasse un po’ a casa sognando quel giorno in cui tutto sarà come prima.
La Caritas ha voluto dire a quei fratelli, cattolici o musulmani non importa: "ZOTI TË BEKOFTË", Dio ti benedice perché vive con te l’umiliazione di lasciare la patria e chiedere il pane agli altri, ma c’è qualcuno che ti dice di non sentirti straniero perché figli dello stesso Padre viviamo sotto lo stesso cielo. Dio ti benedica!

 

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Aggiornato il: 10 agosto 1999